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Ed eccoci ad iniziare una nuova raccolta avventurosa, che ci terrà uniti e solidali per una quarantina di settimane e che vedrà protagoniste le 20 regioni italiane e le loro pietanze più caratteristiche.
E' partito in pompa magna il nuovo Abbecedario Culinario organizzato dall'intraprendente Trattoria MuVarA e dopo il suo fischio di inizio, è stata la Valle d'Aosta ad aprire il corteo, capitanata dalla simpatica Gata da plar.
Per chi avesse voglia di partecipare con una ricetta valdostana, c'è tempo ancora fino a domenica alla mezzanotte per postare qualcosa di succulento sul proprio blog. Per ogni ulteriore info sul regolamento vi rimando all'annuncio personale di Gata.
Sono un'affezionata lettrice del mensile La Cucina del Corriere della Sera, una delle riviste di cucina mie preferite, bella sotto ogni aspetto, e non potevo affidarmi a miglior ambasciatore per la mia ricerca sulla Valle d'Aosta, con un articolo esauriente in ogni dettaglio. Ho così potuto avere un'idea più ampia della sua storia e di come la sua cucina sia stata influenzata anche dai paesi confinanti, ne riporto fedelmente copia per non tralasciare ogni singola informazione di questo puzzle gastroculturale.
Io la conosco perlopiù da turista sportivo: Courmayeur e il Monte Bianco per le sue piste da sci, le camminate estive tra rifugi ed alpeggi che abbiamo raggiunto da Alagna (in provincia di Vercelli), ai piedi del Monte Rosa, quando anni fa avevo affittato una baita Walser del '600, o la lunga traversata fuori pista che da Punta Indren scollina giù fino a Gressoney e Champoluc, dove fu ambientato il famoso e bellissimo film di Francesco Nuti Tutta colpa del Paradiso (e lo stambecco bianco, che nel film è un caprone truccato, poi apparve davvero nel 2007 su una vetta dominante la città di Aosta).
Portiamo nel cuore un bel ricordo di fantasmagoriche mangiate alla Maison de Filippo ad Entrèves, appena fuori Cormayeur, dove l'ambiene tipico montano, rustico ma con chic, si fonde con la cucina tradizionale locale che offre un menu fisso molto vario e dalle innumerevoli portate molto abbondanti (ma si può anche scegliere à la carte).
La posizione sul confine tra Italia e Francia ha influenzato molto il profilo culturale della regione, il cui dialetto locale, il patois, è di fatto una lingua franco-provenzale; tale realtà geografica ha interessato implicitamente anche la gastronomia, connotata da forti contaminazioni transalpine. A ciò si aggiungano le caratteristiche proprie di una tradizione culinaria di montagna che accomunano quella valdostana alla cucina di altre regioni dell’arco alpino, con preparazioni che risalgono a epoche remote. Completa il quadro socio-culturale una considerazione in merito alla popolazione Walser stanziata nella valle del Lys. Tale popolo, che fondò Saint-Jaques e Gressoney, si stabilì nel territorio in epoca medievale e da allora ha sempre conservato la propria identità in fatto di costumi, abitudini e gastronomia. I Walser, rimasti a lungo isolati per la difficoltà di comunicare con i residenti di lingua franco-provenzale, iniziarono un processo di integrazione anche linguistica con la popolazione indigena solo nel corso del Settecento; nonostante ciò, a tutt’oggi, nella zona di Gressoney si parla ancora un dialetto di origine germanica, il titsch. Tra gi usi della popolazione, è da ricordare la lavorazione della pera doutsa, la tenera pietra ollare con la quale gli artigiani producevano pentole di vario tipo, comunemente chiamate “olle”, particolarmente adatte per la cottura di carni e verdure.Entrando nel vivo della tradizione culinaria, risulta evidente che uno degli elementi che caratterizzano maggiormente la gastronomia valdostana è l’abbondanza di primi piatti brodosi, tra cui spicca la zuppa alla ueca. Preparata con orzo, costine di maiale e pane nero, sembra avere un’antica origine locale piuttosto che ascendenza francese, in quanto si reputa che l’orzo sia stato introdotto nella regione addirittura dai Romani. Più in generale, la base di verdura e pane raffermo presente in molte zuppe valdostane connota una tradizione originariamente povera cui, nel corso del tempo, si sono aggiunti ingredienti ricchi come formaggio, carne e brodo di carne. Nel ricettario, infatti, le zuppe sono sempre state presenti nelle case umili così come nelle dimore più altolocate: nel primo caso erano molto semplici, preparate con le verdure dell’orto, le misticanze raccolte nei campi e il pane raffermo (nella maggior parte dei casi scuro), mentre quelle che imbandivano le tavole di aristocratici e dell’alta borghesia erano più gustose e ricche di ingredienti. È dunque probabile che le versioni attuali siano il risultato di una sovrapposizione di stili alimentari, frutto dell’elaborazione dei piatti della cucina popolare cui, con l’andare del tempo, sono stati aggiunti i prodotti presenti nelle ben fornite dispense delle case benestanti.Di fatto si tratta di piatti unici, come per esempio la soupe valpellinentze – zuppa della Valpelline, preparata con pane nero, brodo di carne, verza, talvolta brasata, e Fontina –, che costituisce una portata completa, ricca sia degli amidi del pane sia delle proteine del formaggio, oppure come l’analoga soupe y plat, che però non contempla il cavolo. Ma sono tante le zuppe che popolano il ricettario regionale: basti pensare alla paysanne, a base di brodo di carne, con dadi di formaggio, pane di segale, cipolla e burro; alla soupe cogneinze, che comprende riso, brodo di carne, Fontina e pane di segale (presente soprattutto nelle realtà di montagna come l’atesina); alla valdostana, a base di riso, con rape e burro.Premettendo che il panorama gastronomico valdostano è povero di primi piatti asciutti e paste, meritano un cenno gli gnocchi alla bava, ossia conditi con la Fontina, e i risotti alla fonduta di Fontina, di più recente apparizione. Nella regione la presenza delle castagne, usate per arricchire di sapore e sostanza alcune zuppe povere, ha portato alla produzione di farine che, miscelate a quelle di grano, si sono rivelate adatte alla preparazione di alcune paste come le odierne fettuccine di castagne, spesso insaporite e valorizzate dalla verza brasata e dalle costine di maiale, che costituiscono però solo esempi episodici di minestra asciutta.Dalla rassegna dei primi piatti emerge dunque che, come accade in altri territori di confine (tra cui l’Alto Adige e alcune zone del Friuli-Venezia Giulia), l’ampia gamma delle zuppe e la quasi totale assenza di paste asciutte evidenziano l’influenza di culture straniere, nel caso specifico quella francese.Polenta e patate completano il ricettario della Valle. Il mais, arrivato in Europa nel Cinquecento, non incontrò apprezzamenti univoci; mentre Venezia, che aveva identificato nel granturco una preziosa base alimentare a basso costo, ne promosse subito la coltivazione, per l’arrivo della polenta in Valle d’Aosta, più impermeabile ai nuovi prodotti, si dovette aspettare il Settecento. Per non parlare della patata, che fece il proprio ingresso nella regione ancora più tardi: originaria dell’America meridionale, si diffuse nel vecchio continente nel XVII secolo diventando un ingrediente essenziale della cucina irlandese e tedesca, trovando però resistenze in altre parti d’Europa. Nella Francia del Settecento, per esempio, veniva ancora coltivata come pianta ornamentale e nessuno pensava di cibarsene perché considerata velenosa. Il merito del cambiamento di rotta fu di Antoine Parmentier, agronomo, nutrizionista e igienista francese – passato poi alla storia per un potage a base di patate e porri –, che decise di introdurla nell’alimentazione con l’appoggio di Luigi XVI. Tra i vari stratagemmi adottati per superare la diffidenza popolare, si ricorda quello di far seminare alcuni campi di patate e farli sorvegliare solo durante il giorno, in modo che di notte potessero essere saccheggiati dalla popolazione affamata; in tal modo la patata entrò nelle case dei contadini integrandone i miseri pasti. Tornando alla Valle d’Aosta, qui le patate cominciarono a far parte dell’alimentazione solo a partire dall’Ottocento.Le fondue, diffuse nelle confinanti Svizzera e Francia, trovano anche nella regione una preparazione analoga, vale a dire la fonduta di formaggio, che nella Valle prevede anche l’impiego di uova, assenti dalle versioni francesi e svizzere. Il piatto mostra chiare ascendenze francesi, in quanto non è presente in nessun’altra regione alpina a est del Piemonte; in Friuli, infatti, il formaggio consumato cotto serve per preparare il frico, sorta di gustosa frittata alquanto croccante e concettualmente opposta alla fonduta, morbida e cremosa. Sempre in tema di preparazioni con formaggio, merita un cenno un piatto walser, gli chnéf-fléne (bottoncini), ossia gnocchetti impastati con latte e farina e conditi con burro fuso o fonduta (che spero di riuscire a fare domani :-).
Torcetti di Saint-Vincent
(ricetta dalla Cucina del Corriere della Sera)
Biscottini molto friabili, con una elevata dose di burro ma senza zucchero nell'impasto.
Se conservati in una scatola ermetica o di latta con coperchio, questi biscotti si conservano bene per alcuni mesi ... sempre che riusciate a resistere così a lungo!
Forse la loro origine non è propiamente Aostana, come ho letto nei commenti alla ricetta, anche se pare che ne fosse ghiotta la regina Margherita, moglie di Umberto I di Savoia, che durante i suoi soggiorni in Valle d'Aosta dava ordini affinchè i servitori riuscissero a farne un' abbondante scorta.
In ogni caso restano dei dolcetti perfetti per il tè pomeridiano.
Forse la loro origine non è propiamente Aostana, come ho letto nei commenti alla ricetta, anche se pare che ne fosse ghiotta la regina Margherita, moglie di Umberto I di Savoia, che durante i suoi soggiorni in Valle d'Aosta dava ordini affinchè i servitori riuscissero a farne un' abbondante scorta.
In ogni caso restano dei dolcetti perfetti per il tè pomeridiano.
Per circa 80 torcetti:
- 500 g di farina 00
- 1 bustina di lievito di birra secco (Mastro Fornaio)
- 200 g di burro morbidissimo
- acqua tiepida, circa 300 g
- zucchero semolato
- un pizzico di sale
- burro e farina per la placca (o carta forno)
Sciogliere il lievito in poca acqua tiepida.
In una ciotola mettere la farina e il sale, fare la fontana e al centro ed aggiungere a poco a poco l’acqua con il lievito, iniziando ad impastare.
Rovesciare l'impasto sul piano di lavoro e continuare ad impastare fino ad ottenere un impasto morbido ed elastico, se necessario aggiungere un goccio di acqua in più (o non usarla tutta se l'impasto non lo richiede). Fare una palla, metterla in una ciotola unta di burro, coprirla con pellicola e lasciare lievitare, in luogo caldo, per un’ora o fino al raddoppio.
Rovesciare delicatamente il composto sul piano di lavoro e impastarlo con il burro per una decina di minuti, amalgamandolo alla perfezione, poi fare riposare ancora per un’ora come sopra.
Rovesciare delicatamente il composto sul piano di lavoro e impastarlo con il burro per una decina di minuti, amalgamandolo alla perfezione, poi fare riposare ancora per un’ora come sopra.
Per riuscire ad incorporare bene il burro io l'ho fatto aggiungendone 50 g alla volta ed impastando fino a completo assorbimento: stendevo la pasta tipo pizza, spalmavo il burro, arrotolavo tipo filone e continuavo ad impastare. Ci vuole un po' di pazienza, ma alla fine si riesce ad ottenere un bell'impasto morbidissimo e molto maneggevole. Ed è una super maschera di bellezza ammorbidente per le vostre mani! :-)
Oviamente si può usare l'impastatrice, io ero in montagna e non l'avevo, e quindi tanta fatica risparmiata, ma comunque l'impasto va lavorato a lungo per amalgamare bene gli ingredienti.
Lavorare poi la pasta rapidamente, sgonfiandola, quindi formare tanti bastoncini piuttosto sottili di circa 10 cm di lunghezza, passarli nello zucchero e formare delle ciambelline ovali, unendo le estremità (io erroneamente le ho accavvallate ma basterebbe solo unirle alla fine come per i taralli). Disporre i torcetti sulla teglia del forno, imburrata e infarinata o ricoperta di carta forno, e cuocerli a 200 °C per circa 10/15 minuti, dipende dalla grandezza, fino a quando avranno un bel colore dorato. Sfornare e lasciar raffreddare prima di servirli.
Oviamente si può usare l'impastatrice, io ero in montagna e non l'avevo, e quindi tanta fatica risparmiata, ma comunque l'impasto va lavorato a lungo per amalgamare bene gli ingredienti.
Lavorare poi la pasta rapidamente, sgonfiandola, quindi formare tanti bastoncini piuttosto sottili di circa 10 cm di lunghezza, passarli nello zucchero e formare delle ciambelline ovali, unendo le estremità (io erroneamente le ho accavvallate ma basterebbe solo unirle alla fine come per i taralli). Disporre i torcetti sulla teglia del forno, imburrata e infarinata o ricoperta di carta forno, e cuocerli a 200 °C per circa 10/15 minuti, dipende dalla grandezza, fino a quando avranno un bel colore dorato. Sfornare e lasciar raffreddare prima di servirli.
Nel mio nuovo forno di montagna (con cui non ho ancora molta confidenza, ma soprattutto non l'ho fornito di un termometro separato :-) mi si sono bruciacchiati dei biscotti nella parte inferiore, si è troppo caramelizzato lo zucchero: niente paura, una volta freddi li ho delicatamente gratuggiati appoggiandoli su una normale grattugia da grana (opportunamente pulita e inodore :-), sono venuti perfetti!
Ed ora un po' di storia sulle origini della Valle d'Aosta:
“E verde e fosca l’alpe, e limpido e fresco è il mattino,
e traverso gli abeti tremola d’oro il sole.
Cantan gli uccelli a prova, storniscono le cascatelle,
precipita la scesa nel vallone di Niel...”
(L’ostessa di Gaby, 1895)
Con poche parole, il poeta Giosuè Carducci evoca la forza e l’imponente bellezza del paesaggio di una regione di confine che ha dato vita a un ricettario dove la tradizione gastronomica della montagna si sposa alle influenze d’oltralpe.Delimitata dai più grandi sistemi montuosi europei – Monte Bianco, catena del Monte Rosa e massiccio del Gran Paradiso –, la Valle d’Aosta è attraversata da fertili vallate inquadrabili in tre diverse aree: l’Alta Valle (Valdigne), dove i coltivi superano spesso i mille metri di altitudine, la Valle Centrale e la Bassa Valle, che si estende da Saint-Vincent sino al Piemonte. La zona più fertile è quella che si sviluppa nella Valle Centrale, grazie al terreno sabbioso-argilloso, mentre le terrazze montane sono costituite da argilla sabbiosa mista a ghiaia. A livello climatico, la regione è caratterizzata da un regime semicontinentale, definito da inverni lunghi e freddi ed estati brevi e calde, a eccezione della zona a sinistra della Dora Baltea, esposta a sud, dove le temperature sono più miti. Per via delle differenze di altitudine e di esposizione, più o meno soleggiata, nella regione sono comunque presenti diversi microclimi, con notevoli differenze tra la Bassa e l’Alta Valle.La Valle d’Aosta costituisce da sempre una unità territoriale ben definita sia dal punto di vista geografico sia storico. Anticamente fu abitata dai Salassi, popolazione di origine gallica che, per circa un secolo, riuscì a resistere all’invasione romana iniziata nel 25 a.C. Con la dominazione romana seguì un periodo di relativa pace durante il quale, per via della presenza dei valichi alpini, la Valle svolse un ruolo strategico e militare di notevole importanza; dopo il crollo dell’Impero la regione venne occupata da Burgundi, Ostrogoti, Longobardi e infine dai Franchi. Conseguenza delle invasioni barbariche fu l’abbandono da parte della popolazione dei villaggi del fondovalle e delle colture agrarie. Alcuni secoli più tardi i valligiani, tornati a occupare il territorio, ripresero le antiche attività, tra cui l’agricoltura: fiorita in pieno Medioevo, è poi rimasta prospera fino ai giorni nostri anche grazie a una situazione politica tendenzialmente stabile. Procedendo per fasi, infatti, la storia della Valle d’Aosta è riassumibile in poche tappe: alla fine dell’Impero di Carlo Magno entrò a far parte del regno di Borgogna e, dopo la caduta della dinastia borgognona nel 1032, quando Umberto Biancamano ottenne l’investitura con il titolo di Conte d’Aosta, passò sotto il controllo dei Savoia. Successivamente la regione, eretta a ducato, diventò parte integrante della Savoia. Se si escludono brevi periodi di dominazione francese, il territorio fu dunque governato quasi ininterrottamente dalla nobile casata, che sottomisero la nobiltà locale e mantennero il potere sino all’ingresso della Valle d’Aosta in Italia. Dal 1948 è Regione autonoma a statuto speciale.
7 commenti:
Sono perfetti! Bravissima come sempre...
Grazie, Roberta, e buonissimo weekend! :-)
Che post interessante, complimenti!Adoro i torcetti mi ricordano tanto la mia nonna!Sei stata bravissima!A presto e buon we :)
Vuoi ridere?!!!
Li ho appena fatti anch'io... :*DDD
Perdonami Cindy, non ricordavo tra tutte le ricette arrivate per la A di Aosta che li avevi già fatti tu... che rintronata che sono...
Bè dai... almeno abbiamo due versioni... nel senso che i miei sono leggermente diversi dai tuoi :DDDDD
Un abbraccio!!!!
Meggy, allora prova della nonna superata? :-)
Buonissima domenica a te!
Gata, ma che vuoi che sia? E' normale che ci possa essere qualche ricetta uguale, anzi, è quasi un bene così si posono vedere le due versioni di una stessa cosa, anche perchè, a parità di ricetta, le manualità, le cucine, gli elettrodomestici sono diversi e non ci sarà mai una preparazione uguale all'altra! :-)
Ora però son curiosa e vengo ad assaggiare i tuoi!!! :-)
Avrai un bel da fare per la raccolta, si annuncia golosissima! :-)
Io adoro i torcetti....ho trovato questa foto su Pinterest e seguendola sono arrivata da te! Mi segno la ricetta e li faro'.... Intanto GRAZIE!
Ti faro' sapere!
Un abbraccio
Paola
Paola, grazie, devo dire che erano proprio buoni! :-P
Attendo tue impressioni, posso solo dirti che sembrerà ingovernabile la pasta per il tanto burro, eventualmente ne puoi omettere una piccola parte.
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