31 ottobre 2015

Fish&Chips Mediterraneo


Dalla collaborazione dell'Associazione Italiana Food Blogger con il Consorzio Pecorino Toscano Dop ha preso il via lo scorso settembre un interessante blog tour in Maremma, che ha visto protagonisti alcuni soci nei luoghi di produzione e lavorazione di questo formaggio.
Giusto il tempo di rientrare nei propri confini, che parte un avvincente challenge, Mai dire Mai, ovvero inconsueti e curiosi abbinamenti per il più tipico dei formaggi toscani.




24 blogger sfidano 12 ingredienti insoliti: mango, gamberi, uva, piccione, funghi, rapa rossa, cacao, cozze, curry, caffè, coniglio e zucchero. L'abbinamento è a sorpresa, e non interscambiabile, e per certi versi lascia alcuni stupefatti, la Dea Bendata pare abbia voluto divertirsi con gli accoppiamenti.
Sulla pagina ufficiale di FB le proposte finora presentate dai partecipanti alla sfida.




L'ingrediente sorteggiato per me e la mia compagna di avventura Elena sono state le cozze. Lei è stata più diligente e ha presentato anzitempo qui la sua proposta golosa.
Io non mi smentisco, come al solito, e arrivo giusto in tempo alla quasi conclusione della sfida.

Cucino regolarmente questi molluschi, piacciono a tutti e in occasione di pranzi o feste sono anche molto scenografici e conviviali.
Ma non ne mangio per via di quella storiella che mi hanno sempre raccontato da piccola e che mi ha praticamente bloccato già in tenera età.
Le cozze, infatti, vengono anche chiamate spazzini del mare, perchè, filtrando quasi 50 litri di acqua di mare in 12 ore, ne trattenengono ogni impurità, dalle sostanze viventi per nutrirsi a quelle nocive, come i metalli pesanti e i batteri. Questi ultimi non sono ritenuti pericolosi perchè muoiono con la cottura dei molluschi, ma i metalli pesanti restano. Oggi la maggior parte di questi mitili proviene da allevamenti certificati, che devono indicare in etichetta il luogo di coltura e quindi garantire la pesca in acque idonee. Od eventualmente dichiarare il processo di stabilizzazione (purificazione) a cui sono stati sottoposti per renderli affidabili.
Una volta acquistate in una pescheria di fiducia, si possono conservare 2 o 3 giorni in frigorifero nella loro rete e con il loro liquido racchiuso nella conchiglia, in una bacinella coperta con un canovaccio umido, ma non in acqua, perchè morirebbero presto, consumando tutto l'ossigeno presente in poco tempo.
In commercio si trovano cozze già raschiate da ogni impurità sul guscio. Meglio comunque lavarle al momento dell'utilizzo, si possono anche lasciare in ammollo un'oretta in acqua leggermente salata. Quindi controllarle una per una e togliere il bisso, il filamento che esce dal guscio: ora le cozze sono pronte per essere cucinate.
Anche le cozze seguono le antiche credenze popolari dei pescatori: andrebbero consumate nei mesi senza la erre, perchè sarebbero più gustose e saporite. Non a caso il periodo migliore per gustarle è proprio la primavera e l'estate, quando sono nel momento della riproduzione e quindi più grasse e ricche di proteine.

Ero partita dall'idea di un tortino, mai realizzato e che ben presto si è tramutato in gnocchi tricolore, gustati ed apprezzati, ma non così avvincenti. Si mettono alla prova anche dei tortelli, ma mi sembrava di approfittare troppo di un consiglio culinario autorevole.
E nel mentre della prova ecco che mi balena l'idea sfiziosa del fish&chips.
Amo le contaminazioni, forse non essendo io una purosangue e non avendo un singolo territorio di appartenenza. E nelle nostre scorribande londinesi (ho un figlio che vive là) fish&chips è un must, quasi all'ordine del giorno.
Amo le spezie, le erbe aromatiche, gli aromi naturali: la via delle Indie un giorno (spero non troppo lontano) mi porterà a raggiungere quei luoghi profumati, colmi di fascino coloniale di altri tempi.
Adoro friggere: quello scricchiolio e crepitio nell'olio bollente è la più bella sinfonia culinaria che si possa sentire! Anche l'ingrediente più semplice e povero, una volta fritto assume un'altra personalità, quasi regale, una sorta di vestito a festa. Non a caso si dice che fritta è buona anche una suola da scarpe :-). E non importa l'odore di fritto (qualcuno osa chiamarlo puzzo, a torto) che produce, a cui si può ovviare con piccole astuzie: una goccia di olio 31 nell'olio di frittura, una Lampe Berger accesa, una protezione per i capelli (basta una cuffia monouso da doccia), un camice al posto del grembiule per proteggere i vestiti. E nella bella stagione, ci si può attrezzare all'aperto: sul balcone, in terrazza, in giardino, con il grande rischio, però, di avere poi la fila dei vicini fuori dalla porta che vogliono partecipare all'assaggio!

Tre tipi di patate, dai colori invitanti e sgargianti, anche se una non lo è davvero: la batata, o patata americana (qui nella versione arancione, meno comune da noi, ma ora più facilmente rintracciabile con l'accrescere dei negozi e dei mercati etnici) infatti appartiene ad un'altra famiglia botanica, le Convolvulaceae (quella delle belle campanelle blu rampicanti, per intenderci), e non alla famiglia delle Solanaceae, a cui fanno capo patate e pomodori.

Una mousse di pecorino, cremosa e delicatamente saporita, come intingolo goloso di accompagnamento, da degustare a temperatura ambiente o fresca, a piacere.

E voilà, l'aperitivo è servito: brindiamo alla sfida più intrigante e sorprendente e con i miei personali vivissimi complimenti a tutti i partecipanti ... vinca il migliore!


fish&chips mediterraneo



Ingredienti:

cozze
patata vitelotte
patata a buccia rossa
batata a polpa arancione
farina
 pane grattugiato
sesamo bianco e/o sesamo nero 
olio di semi di arachide
uovo sbattuto
sale 

per la spuma al pecorino:
50 g di pecorino toscano dop grattugiato
50 g di pecorino toscano dop stagionato grattugiato
350 g di panna fresca
timo fresco

Mousse di pecorino: scaldare la panna, aggiungere un paio di rametti di timo e lasciare in infusione 30/40 minuti. Togliere il timo dalla panna, portare a bollore e aggiungere il pecorino: mescolare con delicatezza finchè ben amalgamato. Passare al setaccio. Mettere in frigo a rassodare.

Patate: lavare bene ogni tubero, strofinando la buccia con una paglietta per levare ogni residuo di terra e/o ogni eventuale imperfezione. Asciugarle ed affettarle fini (senza sbucciarle) con una mandolina, disponendole su uno strofinaccio pulito. Tamponare con carta da cucina.

Cozze: non vale la pena aprire le cozze da crude, è un lavoro più faticoso e lungo. Meglio metterle in una padella capiente, dopo averle comunque lavate e passate una per una per eliminare ogni possibile residuo di bisso, sul fuoco a fiamma vivace e con coperchio. In un minuto o due i molluschi si apriranno. Recuperare le cozze che si toglieranno dalla valve con grande facilità: quelle che non si sono aperte si scartano.
Tamponare i molluschi con carta da cucina, infarinare e setacciare per eliminare ogni eccedenza di farina, passare nell'uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Questo può essere semplice o mescolato con sesamo bianco e/o nero.
Si possono preparare impanate in anticipo, conservandole in frigo su un piatto spolverato di pangrattato e coperte da un foglio di alluminio.

Frittura: preparare sul fuoco due padelle, una più grande per le patate, con abbondante olio di semi di arachide ciascuna. Portare l'olio a temperatura, 170/180°, e friggere le patate, prima quelle bianche, poi le arancioni ed infine le viola, in pochi minuti saranno pronte. Scolare su carta assorbente, salare solo al momento di servire. Friggere anche le cozze e scolare su carta assorbente. Non salare.


Servire il fish&chips con la mousse di pecorino e ... in alto i calici!

fish&chips mediterraneo


Varianti: la mousse di pecorino si può aromatizzare con l'erba aromatica preferita, in estate si potrebbe osare con della mentuccia ed un pizzico di buccia di limone o lime grattugiata. Oppure optare per una variante più esotica, aggiungendo un pizzico di curcuma e curry, donando anche un colore dorato.
Valgono le stesse opzioni anche per le cozze, se si preferisce degustare la mousse di pecorino al naturale: il pangrattato si può aromatizzare a piacere, con un trito di aromatiche o con la spezia che più aggrada. I semi di sesamo possono essere sostitui con quelli saporiti e cipollosi di nigella sativa (la trovo da Tiger).


fish&chips mediterraneo


#maidiremai #aifb #pecorinotoscanodop

27 ottobre 2015

French Mais con chantilly alla ricotta e frutti di bosco


La polenta è un piatto antichissimo di origine prettamente italiana a base di farina di cereali. Conosciuta in quasi tutte le regioni del nostro paese nelle sue molteplici varianti, nel passato è stata l'alimento base di tutta la zona settentrionale del nostro paese.
Inizialmente si faceva con farro e segale, miglio o sorgo frantumato, poi anche con grano saraceno, rimasto presente nella polenta taragna Valtellinese.
Dopo la scoperta delle Americhe, arriva in Europa il mais, volgarmente chiamato granoturco, anche se con la Turchia non ha proprio niente a che fare; ma un tempo, si definiva turco tutto ciò che arrivava da lontano, portando con sè il fascino di luoghi esotici e sconosciuti.
E la polenta di mais entra prepotentemente nella dieta italiana, soprattutto al Nord e nella fascia Alpina, diventando ben presto la base dell'alimentazione della gente comune, sia di campagna che urbana.
Polenta e latte ha rappresentato il pasto serale per generazioni di famiglie, e non solo montanare, soprattutto in tempi bellici o di ristrettezze economiche.
Ancora, un modo di dire propiamente veneto: poenta e giasso, quasi a rimarcare l'importanza primaria della polenta come sostentamento alimentare.
Nelle cucine d'altri tempi non mancava mai il paiolo di rame sul fuoco, dove si lasciava cuocere a lungo questo impasto dorato, rimestandolo ogni tanto con un lungo bastone di legno di nocciolo, chiamato cannella. Non c'è quasi pericolo a stracuocere la polenta, anzi, spesso la si lascia un po' più a lungo sul fornello per formare sul fondo del paiolo quella bella crosta croccante che tanto piace a tutti.
E non c'è limite alla fantasia culinaria regionale per trovare il giusto accompagnamento a questo oro fumante: spezzatino, salsicce, cacciagione, formaggi, funghi, seppioline, ciccioli, verdure, ortaggi.
E la farina di mais ben si presta anche per le preparazioni dolci: i morbidi Zaeti e la più friabile Sbrisolona ne sono un goloso esempio.
Nel basso Veneto sconfinando a Venezia e Treviso la polenta diventa bianca, usando la farina del mais biancoperla.


Questo French Mais, ispirato al più tradizionale pain perdu francese, evolutosi in French Toast in terra americana, potrà diventare protagonista della colazione di un giorno di festa, quando si ha più tempo e tranquillità di stare a tavola. Recupera una polenta avanzata dal giorno prima, frutti di bosco della vallata ampezzana e ricotta di malga.



french mais con chantilly ricotta e frutti di bosco


 
Per  4 persone:

8 fette di polenta, spessore 1 cm. *
1 uovo medio
60 g di latte o panna fresca liquida
burro
olio extravergine di oliva
300 g di frutti di bosco a piacere
2 cucchiai di zucchero di canna
mezzo limone spremuto
mezzo bicchiere di acqua
buccia di limone grattugiata
100/150 g di ricotta fresca
300 ml di panna fresca
i semi di mezza bacca di vaniglia
un cucchiaio di zucchero a velo, facoltativo
 


* per la polenta, da fare il giorno prima: portare a bollore in una casseruola antiaderente dai bordi alti 1 litro di acqua. Aggiungere un cucchiaino di sale grosso e un goccio di olio. Versare lentamente 250 g di farina di mais bramata fine mescolando con una frusta perchè non si formino grumi. Quando inizia ad ispessire dare una bella mescolata col mestolo di legno, mettere il coperchio (meglio se trasparente, così la polenta resterà a vista facilmente), abbassare la fiamma e lasciare sobollire la polenta per circa un'ora. Ogni tanto dare una controllata e una mescolata. Se asciuga troppo si può aggingere un mestolo di acqua calda, se troppo morbida togliere il coperchio. Quando pronta, rovesciare sul tagliere di legno. Se si preferisce avere una forma più regolare per poi tagliarla a fette della stessa dimensione, inumidire uno stampo in vetro o ceramica per alimenti, versare la polenta e coprire con un telo. Quando fredda, riporre in frigorifero. Al momento dell'utilizzo rovesciare la polenta su un tagliere.


french mais con chantilly ricotta e frutti di bosco



Coulis di frutti di bosco: in un pentolino mettere 2/3 dei frutti di bosco, il succo di limone, i 2 cucchiai di zucchero, mezzo bicchiere di acqua, una grattata di buccia di limone e cuocere a fiamma vivace per pochi minuti, finchè tutta l'acqua sarà evaporata e si sarà formata quasi una marmellata. Fare raffreddare. Si può preparare in anticipo e conservare in frigo.

Chantilly: setacciare la ricotta in una ciotola, aggiungere i semi di vaniglia ed unire delicatamente la panna semi-montata, poca alla volta per non smontare il composto.

French Mais: in una ciotola sbattere bene l'uovo con il latte. Nel frattempo sciogliere un pezzo di burro in una padella con un goccio di olio. Immergere una fetta per volta nel composto e trasferirla in padella. Cuocere qualche minuto da entrambi i lati, finchè si forma una crosticina dorata ai bordi.
Sistemare due fette su ogni piatto, versare sopra un paio di cucchiai di coulis, aggiungere lateralmente un paio di quenelle di chantilly e completare con qualche frutto fresco.

Per un gusto più fresco, si possono sostituire i semi di vaniglia della chantilly con semi di cardamomo finemente tritati.

E' questa la ricetta che ho presentato a fine agosto a Cortina, all'Hotel Cristallo, in occasione della Degustazione a spreco zero, come piccolo dessert dopo aver gustato la Panada di Anna Maria, i Caniscioni di Greta e i Casunzei di patate allo speck e formaggio di Giulia



foto di Giulia Robert - Alterkitchen


Tutte le ricette sono nate dal recupero del menu della Cena di Note della sera precedente, ispirato alla Grande Guerra e curato dalla Delegazione Cortinese dell'Accademia Italiana della Cucina, prediligendo prodotti tipici locali e tradizionali consuetudini riportate spesso in libri storici del tempo.
Prima di cena, il concerto della soprano Silvia Regazzo, che ha spaziato tra gli spartiti di svariati musicisti dei paesi coinvolti nella Grande Guerra: note struggenti nel ricordo di chi ha dato, non importa per quale bandiera, e di chi ha amato, seppur per poco, seppur nel dolore.

Prima del cooking show targato Aifb, un incontro dibattito con il Sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani, al Sindaco di Cortina Andrea Franceschi e l'agronomo ed economista Andrea Segrè (fondatore di Last Minute Market, promotore dal 2010 della campagna europea Un anno contro lo spreco e ideatore della rete SprecoZero, membro del Comitato ristretto di esperti che ha redatto la Carta di Milano), oltre ad altri rappresentanti della realtà turistica ed imprenditoriale ampezzana. 
Si è parlato di spreco alimentare e di stile di vita sostenibile: sprecare, sia cibo che risorse, significa creare danni all'ambiente e all'economia, oltre ad essere diventato in primis un problema etico per tutti, che induce a riflessioni e cambiamenti progressivi nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti abituali.
E dobbiamo impegnarci tutti, anche nel nostro piccolo, anzi, cominciando proprio da quel grande buco nero che è lo spreco alimentare domestico, che ha raggiunto cifre esorbitanti, sorpassando di gran lunga qualsiasi altro spreco industriale o agricolo. 
Negli anni '60 si studiava economia domestica a scuola, diventata poi educazione tecnica, e poi finita nel dimenticatoio, perdendoci nei molteplici abbagli consumistici del boom economico di quegli anni.
Sostenibilità vuol dire usare al meglio le risorse a disposizione, anche copiando modelli e strategie altrui che funzionano.
Il cibo che sia un dirittto garantito per tutti, ma nel rispetto del cibo stesso: tutto si crea, ma nulla si distrugge è il motto di partenza del dibattito.
Anche la piccola cittadina montana è molto sensibile a questo richiamo di educazione sostenibile. Nel 2021 sarà, infatti, protagonista mondiale dei Giochi Olimpici di Sci Alpino e vuole arrivare al traguardo come esempio internazionale di sviluppo ecosostenibile futuro e lasciare oltremodo un'eredità significativa post evento al territorio.
A voler testimoniare questo percorso intrapreso con tutti gli enti e le organizzazioni locali (ristrutturazioni ecosostenibili per alberghi e dimore, aumento ingente della mobilità elettrica con più mezzi e ricariche, sviluppo delle energie rinnovabili col recupero dei fasciami boschivi, per esempio), nel marzo scorso ha firmato la carta SprecoZero, che sancisce un decalogo di comportamenti e abitudini per ridurre gli sprechi alimentari.

A conclusione della lunga ed intensa chiacchierata, il nostro piccolo aperitivo a impatto zero.

 

19 ottobre 2015

Monsieur le Couscous Royal


Sono stata a Marrakech pochi anni fa e ne sono rimasta totalmente affascinata e stregata, e spero di riuscire a tornarci presto (e con due valige, vuote).
Alloggiavo al Riad Der Zembrane, una struttura privata in piena Medina, quindi nel centro di colori, profumi e sapori marocchini.
Ho passeggiato in lungo e in largo, cercando di non cadere nelle trappole tentatrici dei venditori del Suk, che se solo ottengono un minimo di attenzione poi non ti mollano più finchè non concludi l'affare: anche se, in tutta sincerità, avrei comperato il mondo!
Ho cercato di racchiudere in una raccolta su Flickr le monde entier marocaine che ho potuto assaggiare in pochi giorni, facendo quasi un'overdose di aromi e persistenze: mi ha dato il benvenuto la Terrasse des Epices  in piena Medina,  breve preludio alle innumerevoli scorribande nel Souk, per poi arrivare al famoso e  caratteristico Marché des Epices, un'immensa oasi colorata e inebriante, passando di notte e di giorno in una delle piazze più chiassose e brulicanti al mondo, Jeema el Fna.
Un pomeriggio intero l'ho dedicato alla visita del magnifico Jardin Majorelle, tanto caro a Yves Saint Laurent e Pierre Berger, che lo scoprirono nel 1966 durante il loro primo viaggio a Marrakech: finirono per acquistarlo nel 1980, salvandolo da un progetto di resort che ne avrebbe decretato la scomparsa, e diventando in seguito la loro residenza principale, e fonte ineguagliabile dell'estro del famoso stilista. Alla sua morte nel 2008, le sue ceneri vennero sparse nel roseto della villa e un piccola colonna romana fu costruita a suo ricordo.
Ma non c'è solo la Medina a Marrakech: oltre le sue mura si è sviluppata una città moderna e attiva, dove non mancano super negozi, locali, ristoranti alla moda e internazionali, come il Bo-Zin, o di cucina più tradizionale, come Al Fassia Aguedal, gestito e condotto da sole donne, zone residenziali di alto livello. E c'è anche la Metro, dove mi sono comprata la mitica couscoussière in alluminio per preparare il couscous nel migliore dei modi.
Una breve sosta al café de la Poste, un tempo albergo coloniale francese di cui mantiene ancora i fasti dopo un sapiente restauro, e poi ancora a visitare luoghi da sogno: Ksar Char Bagh, un incantevole guest palace della catena Relais&Chateaux, e Palais Rhoul,  altra meta da mille e una notte.
Non mi sono lesinata neanche una lunga seduta ristoratrice all'hammam: più di due ore di coccole infinite, sapienti, fragranti che inebriano corpo e spirito.

Il Couscous è un piatto berbero del Maghreb. E' composto da semola di grano duro e le verdure che lo accompagnano variano da paese a paese.
E' la combinazione di due piatti, solitamente cotti nella stessa pentola, la couscoussiera, di forma bombata: nel cestello superiore si cucina la semola a vapore, condita poi con olio o burro, e in quella sottostante si cuociono le verdure e la carne in umido, che rilasceranno aroma e profumi alla semola.
Tradizionalmente è preparato con un solo tipo di carne: nascono così i couscous di agnello, montone, pollo, pesce, merguez (salsicce tipiche locali).

Solitamente in Marocco il couscous viene cotto a vapore tre volte, 15/20 minuti alla volta. Tra una cottura e l'altra si stende la semola su un grande vassoio e con le mani unte di olio si sgrana, poco alla volta. Operazione non facile, perchè il couscous è bollente!
Io preferisco cuocerlo, sempre a vapore, come ho imparato dalle amiche siciliane quando fanno il couscous trapanese: si incoccia la semola la sera prima (200/300 g, non di più, eventualmente si ripete l'operazione), utilizzando una grande padella, versando l'acqua poca poca alla volta, facendola assorbire bene prima di aggiungerne altra. L'incocciatura termina quando la semola raggiunge la grandezza desiderata. In questi video Alida spega come incocciare la semola.


incocciando il couscous
semola cruda a destra e a sinistra quella incocciata

Si trasferisce delicatamente in una bacinella, si copre e si conserva in frigo.
L'indomani si condisce con abbondante olio extravergine di oliva (250 g per mezzo kilo di semola) e sale e si versa nella parte superiore della couscoussiera, a strati con del cipollotto tritato fine. Intorno al bordo si sistemano alcune foglie di alloro e si praticano dei piccoli camini di sfogo del vapore in mezzo alla semola col dorso di un mestolo di legno.

Volendo si può optare anche per quello già precotto, sicuramente più veloce, scegliendo magari una semola più artigianale, biologica e integrale, come quello di Timilia.

Le verdure usate più comunemente sono zucchine, carote e melanzane; ma si possono usare anche zucca, patate e cavoli.


couscous royal



Per 6/8 persone:

mezzo kilo di semola per couscous *
3 cipollotti
2 gambi di sedano con le foglie
4/5 zucchine
4/5 carote
2 melanzane lunghe
250 g di ceci cotti
mezza lattina di salsa di pomodoro
500 g di petto di pollo
500 g di salsicce piccole (non di maiale)
500 g di carne di manzo o agnello/montone per spezzatino **
foglie di alloro
250 g di olio extravergine di oliva
sale/pepe

spezie per il brodo: chiodi di garofano - cannella in stecca - bacche di pepe nero e rosso
spezie per la carne e le verdure: ras el hanout - paprika - curcuma e zafferano

* per me semola integrale di grano duro per couscous da incocciare molita a pietra Molini del Ponte

** oppure macinato per fare polpette


couscous royal



Nella parte inferiore della couscoussiera mettere il sedano, i gambi dei cipollotti, un pezzetto di cannella, un paio di chiodi di garofano, qualche bacca di pepe nero e rosso e 3 litri di acqua e portare a bollore.
Tuffare le carote (pelate), le zucchine e le melanzane (pelate) tagliate a pezzettoni uguali, circa 3 cm. di lunghezza. Far cuocere 10/15 minuti poi scolare e mettere da parte.
Sistemare la parte superiore col couscous preparato e condito come spiegato sopra, coprire col coperchio e lasciare cuocere circa un paio di ore, assaggiare se occorre qualche minuto in più. Controllare sempre il livello del brodo sottostante, all'occorrenza aggiungere ancora qualche mestolo di acqua.
Nel frattempo preparare la carne: soffriggere leggermente un cipollotto tritato fine, aggiungere la carne di spezzatino, rosolare bene, unire le spezie, tranne lo zafferano: la quantità è molto personale, meglio dosare gradualmente, mezzo cucchiaino alla volta. Far tostare un minuto anche le spezie e poi allungare con la salsa di pomodoro e quando anche questa è calda aggiungere qualche mestolo del brodo di cottura del couscous filtrato e portare a cottura, a fuoco basso e con coperchio. Utilizzando la pentola a pressione i tempi si accorciano.
In una padella rosolare il petto di pollo tagliato a pezzi con un filo di olio, salare e pepare e portare a quasi cottura: mettere da parte. Fare la stesa cosa con le salsicce.
Quando la carne di manzo è quasi pronta, aggiungere anche il pollo, le salsicce, le verdure tenute da parte, i ceci e lo zafferano, e lasciare che lo stufato si amalgami nei sapori, cuocendo ancora 10/15 minuti.
Sistemare il couscous a piramide in un piatto da portata, aggiungere parte dello stufato di carne e verdure alla base, e servire con lo stufato rimanente e il sugo in una ciotola a parte.

Si può servire nel piatto inferiore dei tajiine, e portare in tavola decorato come nella foto.


couscous royal


Tajine in francese richiede l'articolo le, pertanto è un nome maschile, sia che sia riferito alla pentola che alla pietanza preparata. Quelle per cucinare sul fuoco sono di terracotta e non decorate, mentre spesso si preferiscono quelle smaltate e decorate per servire in tavola le pietanze, e non si possono usare per cuocere.


Questa ricetta partecipa all'Abbecedario Culinario Mondiale 
per la tappa in Marocco ospitata da Patrizia. 

16 ottobre 2015

Pizza di scarole per il World Bread Day - Escarole Pizza


Oggi è la Giornata Mondiale del Pane, il World Bread Day, e come da tradizione anche quest'anno Zorra ci ha invitato a festeggiarlo insieme a lei, celebrando la decima edizione di questo evento.

Per questa giornata così fragrante in tutto il web ho scelto una ricetta tipica napoletana, dove la tradizione vuole che venga preparata durante le feste natalizie, e più precisamente il 24 e il 31 dicembre, quale pasto leggero in attesa dei grandi cenoni festivi.
Per questa focaccia farcita si usa la scarola liscia, unita poi ad acciughe, uvetta, pinoli, olive nere di Gaeta e capperi. Come impasto di base si usa una pasta di pizza semplice, versioni più anticonformiste e personali accettano anche la pasta brisée.
Mia cugina Emanuela a Salerno la prepara con pasta di pane o brisée, e per il ripieno stufa la scarola in teglia (senza lessarla in acqua) con aglio, olio e peperoncino, aggiungendo poi a metà cottura le olive nere e verdi al forno denocciolate, omettendo acciughe e uvetta.
Una ricetta che varierà di famiglia in famiglia, seppur di poco, e che ognuno proclamerà coma la vera, unica, originale.


pizza di scarole



Per una teglia di 30 cm. di diametro:

pasta:
400 g di farina 0
100 g di semola rimacinata Senatore Cappelli
270/300 g di acqua
8 g di levito di birra
20 g di olio extravergine di oliva
un cucchiaino scarso di malto d'orzo
8 g di sale

ripieno:
1 kg. di insalata scarola
olio extravergine di oliva
2 spicchi di aglio
2 cucchiai di capperi, dissalati
4 o 5 acciughe sott'olio
2 cucchiai di pinoli
3 cucchiai di uvetta morbida *
una manciata di olive nere di Gaeta, denocciolate
sale/pepe

* conservo l'uvetta in un barattolo di vetro che rabbocco con la grappa,
in questo modo è sempre pronta ammollata per l'uso



pizza di scarole



Sciogliere il lievito nell'acqua a temperatura ambiente.
In una ciotola mescolare le farine fra loro, fare la fontana e versarci l'acqua col lievito, il malto e l'olio. Prendere un po' di farina alla volta ed iniziare ad impastare. Quando quasi tutta la farina è stata aggiunta, unire anche il sale e trasferire sul piano di lavoro. Lavorare finchè l'impasto è ben liscio ed omogeneo. Formare una palla e trasferire in una ciotola leggermente unta, coprire e lasciare lievitare al raddoppio in un luogo caldo e riparato.
Nel frattempo pulire e lavare la scarola, eliminando le foglie esterne rovinate, e lessarla 5 minuti in acqua a bollore leggermente salata, poi scolare.
In una padella soffriggere appena l'aglio spremuto con l'apposito attrezzo, aggiungere le acciughe e farle sciogliere, unire le olive e i capperi, i pinoli  (tostati pochi minuti in un padellino) e l'uvetta, infine anche la scarola, strizzata e tagliuzzata grossolanamente a coltello (se piace si possono tritare grossolanamente a coltello anche uvetta, capperi e olive).
Far insaporire e cuocere a fiamma media e semicoperta finchè la verdura non rilascerà più acqua ma sarà comunque morbida e si rivedrà l'olio soffriggere.
Aggiustare di sale e pepe, spegnere e far raffreddare.
Dividere l'impasto lievitato a metà, tenendo una parte leggermente più grande e stendere col matterello a formare due dischi.
Versare un giro di olio al centro della teglia, foderare con il disco più grande, tenendo la pasta alta sul bordo.
Distribuire il ripieno uniformemente e coprire col secondo disco di pasta, sigillando bene il bordo, aiutandosi anche con i rebbi di una forchetta. Lasciare lievitare coperto a campana almeno un'ora, o fino al raddoppio.
Cuocere in forno caldo a 190/200° per 30 minuti circa.
Delicatamente sformare e lasciare intiepidire su una griglia prima di tagliarla, ma è buona anche fredda.


Escarole Pizza


Today is World Bread Day and as usual Zorra invited us to celebrate with her this fragrant event.

I chose a typical Neapolitan recipe: this sort of stuffed focaccia, but they call it pizza anyway, is prepared during Christmas, namely on 24th and 31st December as a light meal waiting for the huge holiday dinners.
The filling is made with escarole, combined with anchovies, raisins, pine nuts, black olives from Gaeta and capers. The dough is the simplest pizza dough, though some unconventional and personal versions also accept pastry crust.
A recipe that can vary from family to family, just for very tiny details, and that everyone will proclaim as the unique and original one.



pizza di scarole



For a 30 cm. diameter pan:

dough:
400 g all-purpose flour
100 g semolina flour
270/300 g water
8 g fresh yeast
20 g extra virgin olive oil
a teaspoon of barley malt
8 g salt

filling:
1 kg. escarole
extra virgin olive oil
2 cloves garlic
2 tablespoons capers, desalted
4 or 5 anchovies in oil
2 tablespoons pine nuts
3 tablespoons softened raisins *
a handful of black Gaeta olives, pitted
salt and pepper

* I store raisins in a glass jar with brandy, so they are always ready to use


Dissolve yeast in water at room temperature.
In a bowl mix the flours, make a well and pour in the water with yeast, malt and oil. Take a bit of flour at a time and begin to knead. When almost all the flour has been added, add salt and transfer on the working surface. Knead until the dough is smooth and homogeneous. Shape into a ball, transfer to a lightly greased bowl, cover and let rise to double in a warm place.
In the meantime, prepare  the escarole: remove the outer leaves, wash and then boil 5 minutes in lightly salted water, then drain and squeeze. When cooled  coarsely chop it with a knife.
In a pan fry squeezed garlic, add the anchovies and let them dissolve, add olives and capers, pine nuts (previously toasted a few minutes in a pan) and raisins, and finally the escarole (if you like you can coarsely chop also raisins, capers and olives).
Cook over medium heat until the vegetables won't release any water but still soft.
Season with salt and pepper, turn off and let cool.
Halve the leavened dough, one part slightly larger and roll out with a rolling pin into two discs.
Pour a little oil in the center of the pan, line with the larger disk, keeping the dough high on the side.
Spread the filling evenly and cover with the second disk of dough, sealing well the edge, even helping with a fork. Let it rise covered with a larger  bowl at least one hour, or until doubled.
Bake in preheated oven at 190/200° for 30 minutes.
Carefully unmold and let cool on a rack before slicing.

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