Ieri sera a teatro...
SEI BRILLANTI - Giornaliste Novecento di e con Paolo Poli
Spettacolo di “acuta e profonda leggerezza”, quella ormai consolidata di un’artista che di questa cifra ha fatto uno dei punti chiave del suo teatro.
Alla soglia degli ottant'anni, Paolo Poli non sembra avere perso la voglia di provocare, di intrattenere, di divertire e soprattutto di rimettere le mani in quel suo inesauribile repertorio di canzoncine cretine o maliziose dell'Italia d'antan (con qualche significativo slittamento, stavolta, verso epoche e brutture a noi più vicine). Questo, da sempre, è d'altronde lo stile del personaggio, questo è il genere di effimeri ma scintillanti materiali che ne valorizzano di più la raffinatissima verve espressiva, il gusto pungente, l'elegante misura: chi non l'ha mai visto, non perda l'occasione. Chi lo ama riscopra a qual grado è arrivata la sua perfezione esecutiva.
A differenza del solito, Sei Brillanti - Giornaliste Novecento non si basa su un testo teatrale definito, sviluppato con intenti più o meno derisori nei riguardi dell'autore, ma assume dichiaratamente una forma aperta da varietà, dove lui fa il dicitore e la soubrette, in un variopinto alternarsi di couplet, di balletti, di scenette. Come sempre, Poli è accompagnato da un manipolo di volonterosi giovanotti pronti a trasformarsi in ogni sorta di improbabili olandesine, balenotteri, scimpanzè. Qui, però, a fare da filo conduttore, ci sono sei brevi scritti di altrettante note giornaliste, pubblicati fra gli anni Venti e gli anni Ottanta.
I sei brillanti del titolo sono i sei monologhi con cui, attraverso i testi di sei “adorabili penne” del secolo scorso, Poli disegna una caricatura sferzante e ineccepibile del Novecento. Maria Volpi Nannipieri in arte Mura, Paola Masino, Irene Brin, Camilla Cederna, Natalia Aspesi ed Elena Gianini Belotti (autrici di brevi racconti pubblicati dagli anni ’20 agli anni ’80) sono le sei voci che l’artista ha scelto di incastonare nelle scenografie di Emanuele Luzzati, cangianti fondali ispirati alle varie correnti pittoriche del ‘900, condendo il tutto con canzonette d’epoca proposte con particolari registri vocali o in quel delizioso falsetto di cui Poli è maestro. Ma l’irrinunciabile priorità del “divertirsi divertendo”, quel suo bizzarro e stravagante ammiccare all’avanspettacolo, trovano un solido contraltare nel tema della morte. Tema che affiora sottovoce, quasi a sottolineare che il più prezioso “brillante” che possediamo è proprio la vita e che quindi, come sostiene Paolo Poli, l’unica cosa degna di essere presa seriamente è proprio la leggerezza. Un “approccio all’esistenza” che “gioca – ha scritto un critico – con il grottesco e trasforma gli orrori in fotografie collettive da incorniciare”. Lo spettacolo dunque, oltre a fare ridere, fa anche pensare attraverso una variegata “scorribanda” tra i colori, le musiche, le follie, le miserie e gli umori di un secolo che Paolo Poli ci racconta senza risparmiare i suoi frizzi un po’ chic, la sua satira divertita e sempre elegante, la sua verve, la sua grazia intelligente e il suo straordinario talento. Un Novecento che ha come punto di partenza le cronache letterarie di sei giornaliste. A cominciare – spiega Poli – da quella Maria Volpi Nannipieri che "negli anni '20, nelle sue “Perfidie”, parlava di amori saffici in un'epoca in cui Mussolini avrebbe avuto parecchio da ridire sul tema. E poi Paola Masino: negli anni che precipitavano verso la crisi economica del '29 ebbe il coraggio di lanciare, sul settimanale Omnibus di Longanesi, il grido di un’inchiesta dal titolo “Fame”. Un articolo – continua l’artista toscano – che mise più di un mal di pancia alla maggioranza rispettabile che se ne fregava del prossimo. Poi arriva Irene Brin, storica firma di Omnibus, e la poveretta si dovette inventare la "contessa Clara" per raccontare la società dell’epoca attraverso la moda. Ma era una mente brillantissima. E poi, ancora, Camilla Cederna, anche lei una giornalista coraggiosissima (come lo sono in genere tutte le donne) di cui ho scelto, erano gli anni della Dama Bianca e di Coppi, “Il lato debole”. Per raccontare l'attualità ho invece preso – conclude Poli – due firme assai lontane tra loro, Natalia Aspesi ed Elena Gianini Belotti, entrambe mie care amiche.
Questa scelta ha due effetti principali: da un lato gli consente di affondare le mani nel costume italiano dello scorso secolo - sia pure con ironia e leggerezza - in un modo per certi aspetti più diretto di quanto mai non avesse fatto finora. Dall'altro gli fa compiere un percorso attraverso epoche diverse, variando i toni e gli oggetti dei suoi strali: memorabili l'infermierina tutta azzurrina che canta «avvinta come l'edera», e il prete-indossatore che sfila intonando Bello e impossibile e Maledetta primavera.
Dietro all’omaggio, dunque, a sei giornaliste donne accomunate dal coraggio di dire, di stupire, di guardare il mondo senza i veli dell’ipocrisia, un omaggio all’universo femminile, o meglio a quelle donne che hanno fatto e fanno dell’intelligenza e della cultura la loro bandiera. Tutto questo attraverso quello specialissimo teatro di Paolo Poli, un “unicum” che gli è valso la scorsa estate al Teatro Romano il Premio Renato Simoni alla carriera.
In scena (accanto a Paolo Poli che è anche regista dello spettacolo) Luca Altavilla, Alberto Gamberini, Alfonso De Filippis e Giovanni Siniscalco. E poi ci sono le ingegnose scene di Luzzati che citano i pittori di quegli anni, da Dalì a Casorati a Balthus, e i divertenti costumi di Santuzza Calì. Di Jacqueline Perrotin gli arrangiamenti musicali.
Bravo, bravissimo Poli!!!
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